Rusco Linguacciuto

“Le mie previsioni sono queste: ogni lingua si concentrerà attorno a due poli: un polo di immediata traducibilità nelle altre lingue con cui sarà indispensabile comunicare, tendente ad avvicinarsi a una sorta di interlingua mondiale ad alto livello; e un polo in cui si distillerà l’essenza più peculiare e segreta della lingua, intraducibile per eccellenza, e di cui saranno investiti istituti diversi come l’argot popolare e la creatività poetica della letteratura.”
Italo Calvino, L’antilingua, Il Giorno (1965)

“Le parole costruiscono mondi e il linguaggio è una delle grandi forze geologiche dell’Antropocene.”
Robert MacFarlane, Underland, Einaudi (2019)

Dove stiamo andando, noi e l’Antropocene? Partendo dal tema di quest’anno — “scarti” — a Scienceground 8/5 ci interroghiamo anche sul linguaggio, cimentandoci in una della attività umane che produce scarti in maggior quantità: la traduzione.

La nostra proposta nasce dall’osservazione di due travolgenti fenomeni del nostro tempo. Da un lato il predominio della lingua inglese, utilizzata come interlingua mondiale ad alto livello con sempre maggiori pretese di neutralità e universalità. Dall’altro il crescente utilizzo di software di traduzione automatica basati su algoritmi che sembrano sempre più intelligenti.

Tutto questo – crediamo — rende doverosa una discussione sulla portata che queste tendenze hanno o avranno sul linguaggio e il nostro modo di utilizzarlo. Dobbiamo reagire? Dobbiamo assecondare? Noi proponiamo di GIOCARE!

Vogliamo farlo usando la nostra creatività e alcuni strumenti classici della traduzione, cercando di sfruttare al meglio le potenzialità della nostra lingua per (ri)tradurre parole legate ai temi affrontati durante Festivaletteratura 2021. Abbiamo scelto parole inglesi che generalmente non vengono tradotte, forse perché l’inglese suona più immediato e autorevole, o forse perché non si trovano alternative efficaci. Le troveremo noi?

Fantasticando intorno a termini come greenwashingdata miningdrosscape e landship, vi e ci invitiamo a mettere in luce le varie fasi e logiche del processo traduttivo, ricercando insieme soluzioni fuori dalla portata di qualunque algoritmo. Il gioco starà nello scoprire connessioni, valutare opposizioni e — soprattutto! — suggerire scarti di significato.

Nel farlo, prenderemo insieme coscienza delle motivazioni che ci spingono a scartare alcune parole in favore di altre e, alla fine, convincerci della validità di tali motivazioni, realizzando che una buona traduzione non passa solo attraverso la correttezza linguistica, ma la traduzione è un’attività sociale.

Regole del gioco

  1. Scegli una delle parole proposte di seguito
  2. Leggi attentamente la definizione proposta e fai eventuali ricerche per approfondire meglio il tema
  3. Individua nella definizione i concetti chiave che ti piacerebbe fossero mantenuti nella traduzione italiana
  4. Analizza la struttura della parola nella lingua di partenza e valuta se riproporla in italiano
  5. Cerca come sono state tradotte parole simili, se ne esistono
  6. Cerca la traduzione degli elementi che la compongono
  7. Inizia a scartare le varie possibilità, fai connessioni e combina concetti
  8. Usa tutta la tua creatività per proporre una traduzione, motivando la tua risposta (se possibile raccontaci anche degli scarti prodotti lungo il percorso)
  9. Inviaci la tua proposta:
    • compilando il form online
    • (in forma cartacea lasciando la tua scheda nella scatola che troverai nello spazio di Scienceground)
    • inviandoci un testo o un audio in cui ci racconti il tuo percorso di traduzione.
      Ci puoi raggiungere via mail ([email protected]) o tramite il gruppo telegram SG 21 - Scarti di traduzione

parola 1 — drosscape

Secondo Berger, drosscape, come concetto, implica che gli scarti, o rifiuti, possano diventare paesaggio, se modellati o rivestiti e riprogrammati per un riutilizzo adattivo. Berger prosegue spiegando che questo fenomeno emerge da due processi primari. In primo luogo, i drosscape si sviluppano come un sottoprodotto della rapida urbanizzazione e della crescita urbana incontrollata. In secondo luogo, questi spazi nascono come conseguenza di sistemi economici e produttivi dismessi. Per urbanistica, architettura e design, i drosscape possono offrire un altro modo creativo di immaginare la progettazione dello spazio e del paesaggio in una città. Secondo Berger, “il riutilizzo adattivo di questo paesaggio di scarto rappresenta una delle grandi sfide di progettazione infrastrutturale del ventunesimo secolo".

Questi luoghi di scarto sorgono grazie alla deindustrializzazione e alla crescita industriale, la quale ha sostituito le vecchie tecnologie con quelle nuove, portando alla “distruzione creativa”, o all’abolizione dell’obsoleto. Questo concetto riqualifica anche il cosiddetto urban sprawl, la dispersione urbana, spiegando che la crescita industriale e il successo dei centri urbani causano inevitabilmente tale movimento “orizzontale”, ma che tale fenomeno non è intrinsecamente negativo. Ancora una volta, ciò richiederà un nuovo modo di pensare, poiché generalmente temiamo la crescita rapida e disordinata di una città e disprezziamo il paesaggio creato dall’uomo. Una volta individuati tali paesaggi, sarà compito delle professionalità più varie integrare e riutilizzare questi spazi nel mondo urbano.

Fonte: Wikipedia
Tradotto liberamente

Approfondimenti:

Carlo Gasparrini, “Waste, Drosscape and Project in the Reverse City”Re-Cycle Italy 08, 47 (2014)

Il territorio degli scarti e dei rifiuti, a cura di Rosario Pavia, Roberto Secchi e Carlo Gasparrini, Re-Cycle Italy 08, 47 (2014)

Drosscape. Progetti di trasformazione nel territorio dal mare a Roma, a cura di Roberto Secchi, Maurizio Alecci, Andrea Bruschi e Paola Guarini, Re-Cycle Italy 26 (2016)

Vittoria Di Palma, “Waste and Frugality”Landscape Seminar Series, Edinburgh School of Architecture and Landscape Architecture (17/03/2021)

parola 2 — greenwashing

Si parla di greenwashing per indicare le pratiche adottate da quelle aziende od organizzazioni interessate ad acquisire una reputazione «verde», ossia ecologica, senza che vi corrisponda un modo di operare sostanzialmente diverso da quello degli altri soggetti (concorrenti) rispetto ai quali esse si vogliono differenziare. Le origini di questa strategia risalgono agli anni '70 e '80, quando vi si ricorreva per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica e dei media dall’impatto ambientale negativo (talvolta veri e propri disastri) di alcune attività produttive.
[…] Il greenwashing è ciò che si potrebbe definire un «marketing ecologico di facciata», i cui sforzi sono orientati - prevalentemente attraverso attività di comunicazione - a una modifica della reputazione aziendale senza incidere realmente sulla sostenibilità ambientale dei processi produttivi adottati o dei prodotti realizzati.
[…] L’obiettivo è la rivendicazione da parte dell’azienda di qualità ambientaliste a cui non corrispondono azioni concrete, ad esempio utilizzando messaggi e immagini ad hoc o pubblicizzando donazioni e accordi con associazioni.
[…] Occorre comunque riconoscere che le attività di greenwashing non sono sempre il risultato di malafede o atteggiamenti opportunistici, ma in molti casi dipendono da una mancanza di competenze in materia di management ambientale.

Fonte: Carlo Alberto Pratesi, “Greenwashing”, Aggiornamenti Sociali 01, 63-66 (2011)

parola 3 — data-mining

Il data mining è un processo di estrazione e scoperta di schemi in grandi insiemi di dati, che coinvolge metodi che utilizzano intelligenza artificiale, statistica e sistemi di archiviazione. Il data mining è un sottocampo interdisciplinare di informatica e statistica con l’obiettivo generale di estrarre informazioni (con metodi intelligenti) da un sistema di dati, trasformandole in una struttura decodificabile per futuri utilizzi.
[…] Il termine data mining è un termine improprio, perché l’obiettivo è l’estrazione di schemi e generazione di conoscenza partendo da grandi quantità di dati, non l’estrazione dei dati stessi. È anche un termine molto gettonato, spesso applicato a qualsiasi forma di elaborazione di dati o informazioni su larga scala (raccolta, estrazione, immagazzinamento, analisi e statistica) nonché a qualsiasi applicazione di sistemi di supporto decisionale computerizzati, inclusa l’intelligenza artificiale (ad esempio il machine learning) e la business intelligence.

Fonte: Wikipedia
Tradotto liberamente

parola 4 — landship

“C’è un’affinità tra i suffissi [inglesi] -scape e -ship, e possiamo quindi pensare al paesaggio (landscape) sia come qualcosa che è incorniciato, delimitato e scenografico, ma anche come a un concetto molto più grande, che parla di relazioni con la terra, utilizzo del suolo e pratiche agricole che si fondano sulla condivisione. Il paesaggio diventa allora landship, ed è un’appartenenza non a un luogo o a una nazionalità astratta, ma l’appartenenza agli insiemi di pratiche che permettono il benessere umano ora e, naturalmente, nel futuro.”
Tim Waterman, “Waste and Frugality”, Landscape Seminar Series, Edinburgh School of Architecture and Landscape Architecture (17/03/2021)

La cittadinanza, spesso concepita come qualcosa di unico, monolitico e limitato, può anch’essa essere manipolata, e invece di essere vista come qualcosa che si può praticare e verificare, è al contrario spesso vista come un diritto di nascita o come qualcosa che è dato o reclamato.
[…] È importante inquadrare i requisiti per la cittadinanza in modi diversi dallo ius sanguinis (diritto di nascita, etnia) e trovare modi più etici di valutarla. Il letterato ambientalista Gary Snyder, nel promuovere la sua idea di cittadinanza, cerca di legare l’appartenenza a paesaggi “sostanziali”, chiedendo di non dare per scontati terreni e pratiche abitative, ma di includere nell’idea di cittadinanza i rapporti delle comunità con la terra, sulla base di un discorso di giustizia e democrazia del paesaggio. La terra, scrive, «è qualcosa a cui le persone appartengono, come a una res publica».
Ciò che accomuna paesaggio e cittadinanza è innanzitutto, forse sorprendentemente, un suffisso. Come Olwig spiega nel suo libro I significati del paesaggio, il suffisso inglese -scape significa “forma” e veicola il significato di creare e scolpire, da un lato, mentre dall’altro è anche «affine al suffisso -ship, che conferisce un carattere più astratto, nel senso di una condizione come l’amicizia o la sapienza», o nel senso di una qualità o uno stato, «come nel caso della fratellanza o del senso di appartenenza a una città».

Fonte: Tim Waterman, “Introduction: Landships”, in Landscape Citizenships edited by Tim Waterman, Jane Wolff, Ed Wall, Routledge (2021)
Tradotto liberamente

Approfondimenti:

Tim Waterman, “Waste and Frugality”Landscape Seminar Series, Edinburgh School of Architecture and Landscape Architecture (17/03/2021)

Progetti ambiziosi

Parole che sono davvero difficili e forse impossibili da tradurre. La sfida è aperta!

scienceground

Ebbene sì, l’inglese ha ipnotizzato anche noi di eXtemporanea quando abbiamo scelto il nome da dare al progetto scientifico da sviluppare a Festivaletteratura. Volevamo creare uno spazio che fosse un po’ un playground in cui giocare con le scienze e un po’ un luogo di incontro in cui comprendere i background e i dilemmi di chi fa o si prepara a fare ricerca, ma anche un sorta di canale underground in cui intercettare il discorso scientifico senza filtri, in tutta la sua complessità: un segnale altrimenti difficile da captare nel rumore di fondo della società dell’intrattenimento, in cui anche la scienza è ridotta a notizia passeggera. Insomma, ci piaceva l’idea di creare un terreno fertile per il confronto scientifico, dove si potesse coltivare di tutto — dai microbi agli ecosistemi — e da cui raccogliere frutti preziosi come incontri e riflessioni collettive. Ci aiutate a concimarlo con qualche scarto di significato?

Puhpowee

Il mio primo assaggio della lingua mancante è stata la parola Puhpowee. Mi ci sono imbattuta in un libro dell’etnobotanico Anishinaabe Keewaydinoquay, in un trattato sugli usi tradizionali dei funghi da parte della nostra gente. Puhpowee, ha spiegato, si traduce come “la forza che fa spuntare i funghi dalla terra durante la notte”. Come biologa, sono rimasta sbalordita dall’esistenza di una parola del genere.
In tutto il suo vocabolario tecnico, la scienza occidentale non ha un termine simile, non ha parole che contengano questo mistero. Si penserebbe che chi si occupa di biologia, tra tutte le persone, abbia parole per la vita. Ma nel linguaggio scientifico la terminologia è usata per definire i confini del nostro sapere. Ciò che sta oltre la nostra portata rimane senza nome.
Nelle tre sillabe di questa nuova parola ho intravisto un intero processo di osservazione ravvicinata nei boschi umidi del mattino, la formulazione di una teoria per la quale l’inglese non ha equivalenti. Chi ha creato questa parola ha compreso un mondo vivente, pieno di energie invisibili che animano ogni cosa. L’ho adorata per molti anni, come un talismano, e desideravo ardentemente incontrare le persone che hanno dato un nome alla forza vitale dei funghi. La lingua che contiene Puhpowee è quella che volevo parlare. Così, quando ho appreso che la parola per sorgere, per comparire, apparteneva alla lingua dei miei antenati, è diventata per me un’indicazione.

Fonte: Robin Wall Kimmerer, Braiding Sweetgrass: Indigenous Wisdom, Scientific Knowledge and the Teachings of Plants, Milkweed Editions (2013)
Tradotto liberamente

Approfondimenti:
https://www.youtube.com/watch?v=2YuB1iU6DQI&ab_channel=TheOnBeingProject

Friche

Friche, termine connotato negativamente.
Si dice: “tomber en friche” (cadere in abbandono)
Contraddizione: luogo di vita estrema.
Via di accesso al climax.

Una friche è un terreno non coltivato, o che ha cessato temporaneamente di esserlo. Terreni di questo tipo si coprono di erbe indigene, erica cinerea e brugo, ginestroni, rovi, ginestre ecc.
[…] Sull’etimologia della parola friche i pareri sono discordi: “Dal tardo latino friscum, che Grimm riconduce a fractitium, campo che è stato lavorato per la prima volta, da fractus, spezzato. Maury ha proposto il gaelicoc frithfrithe, terra di friche” (Larousse, 1872). Secondo il Petit Robert (1983): “s.f.; 1251, variante dell’antico francese e dialettale frèche; medio olandese versh fresco”.
Quasi sempre, il termine friche si applica a un terreno che ha cessato di essere lavorato o che potrebbe esserlo. Non ci si serve di questo termine per indicare i pendii selvatici, i prati scoscesi di alta montagna, gli ambienti retrodunai ricoperti da cardi azzurri o qualunque altro ambiente cosiddetto “naturale”. No, la friche esclude al tempo stesso la natura e l’agricoltura, lascia intendere che si potrebbe fare di meglio.
Magari si potrebbe fare un giardino.

Fonte: Gilles Clément, Il giardino in movimento, Quodlibet (1984)

Approfondimenti:

Gilles Clément, “le Jardin en Mouvement”

approfondimento 1 — Contesto

L’inglese: molto di più di una lingua franca

Le cause del primato dell’inglese sono molteplici e ben radicate nella storia. Tuttavia, un aspetto particolarmente rilevante di questo fenomeno, ci spiega Juliane House, non è solo l’utilizzo dell’inglese come lingua franca ma la tendenza a elaborare un sempre maggior numero di testi in inglese con pretese, però, di neutralità e universalità culturale. Un esempio su tutti — caro a noi di Scienceground — è la letteratura scientifica.

Il risultato è la riduzione dell’inglese a una comunicazione ristretta e impoverita, pronta ad essere esportata ad altri contesti culturali e linguistici con il risultato di semplificarne non solo il lessico, ma anche la sintassi, la pragmatica e il discorso

(possibile mappa con le cause del primato dell’inglese)

Approfondimenti:
Juliane House, “Translation Quality Assessment: Linguistic Description versus Social Evaluation”Meta: Translators’ Journal XLVI, 2 (2001)

La traduzione automatica

Tradurre è da sempre un’attività centrale per la diffusione di idee e la condivisione di saperi, e la velocità alla quale si traduce diventa sempre più determinante affinché notizie e contenuti siano immediatamente fruibili in ogni lingua. Sono anni che i software di traduzione automatica vengono sempre più utilizzati, al punto di diventare insostituibili. Ma quali sono i loro limiti?

Negli anni si sono susseguiti vari sistemi di traduzione automatica e i più recenti sono i sistemi neurali, che si basano su corpora di testi multilingui raccolti in rete e costantemente aggiornati, i cosiddetti dataset. Più si allenano e più questi algoritmi di traduzione (basati sull’intelligenza artificiale, o machine learning) sembrano avvicinarsi alla logica umana, al punto da essere in grado di addattarsi alla naturale evoluzione delle lingue e rendere impossibile distinguere una traduzione fatta da un computer o da un essere umano… ma non sempre!
Una breve spiegazione la trovate in questo video.

Approfondimenti:
Hellmut Riediger, “Tradurre col computer - dalla traduzione automatica al CAT e ritorno”, Laboratorio Weaver (2018)

approfondimento 2 — Motivazioni e strumenti

La creatività in questo contesto è la capacità di sfruttare le risorse delle lingue di partenza e di destinazione.

Lance Hewson, “Creativity in Translator Training: Between the Possible, the Improbable and the (Apparently) Impossible”LINGUACULTURE 2, 9 (2016)

Prima di inoltrarci nel percorso di traduzione, desideriamo spiegare le motivazioni che ci hanno spinto a proporre un esercizio di traduzione creativa che ha come lingua di partenza l’inglese e come lingua di arrivo l’italiano, e non il contrario.

Fondamentale è stato per noi il contributo di Lance Hewson, il quale spiega come la creatività entra in gioco quando si è di fronte a un problema traduttivo di non immediata risoluzione.
Hewson individua due componenti fondamentali della creatività:
a) l’abilità di esplorare la ricchezza della lingua;
b) la capacità di prendere decisioni motivate e consapevoli.

Le parole proposte sono termini che solitamente non vengono tradotti e rappresenterebbero quindi un problema se si decidesse di tradurli, perché l’eventuale soluzione non potrebbe essere trovata attraversola semplice consultazione di un dizionario o di un software.
Tradurre in italiano presuppone che tutti e tutte possano avere un livello di conoscenza della lingua sufficientemente vasta per giocare e plasmare con sicurezza le parole, arrivando a proporre soluzioni nuove e, come propone Hewson, perfino “oltraggiose”.
Questo esercizio sarà utile perché più si allena la creatività, più si rimarrà “vigili rispetto ai pericoli della traduzione semiautomatica o meccanica” e “sempre pronti a guardare oltre le soluzioni standard” e preconfezionate.

Oltre alla creatività, però, per la traduzione sono importanti anche strumenti tradizionali come:

Riferimenti bibliografici

Lance Hewson, “Creativity in Translator Training: Between the Possible, the Improbable and the (Apparently) Impossible”, LINGUACULTURE 2, 9 (2016)

nota finale

Come si giudica una buona traduzione

Juliane House ci ricorda che, quando ci si appresta a valutare una traduzione, è bene ricordare che entrano in gioco due ordini di considerazioni. Il primo è di natura scientifica e prevede l’analisi del procedimento linguistico basata su una ricerca empirica e sulla conoscenza e il relativo confronto delle strutture linguistiche e delle norme d’uso. Il secondo, di natura più ampia, riguarda l’accettabilità sociale della traduzione in oggetto, ambito in cui entrano in gioco questioni etiche, interpersonali e sociologiche di rilevanza sociopolitica, posizioni ideologiche e convinzioni e sentimenti individuali.

In un’affascinante opera di critica della traduzione, Bruno Bettelheim (1983) descrive come i traduttori ufficiali inglesi di Freud abbiano stravolto la lingua — e quindi il significato — del testo di partenza, principalmente mediante scelte lessicali sistematiche mirate a rendere il testo di arrivo più clinico, più scientifico e meno soggettivo dell’originale di Freud. Mentre Freud aveva sostantivato i pronomi personali tedeschi (das Ichdas Esdas Uber-Ich) per rappresentare concetti fondamentali della propria opera, i suoi traduttori preferirono le forme latine (EgoIdSuper-Ego) ritenendole presumibilmente più adatte a un trattato scientifico in inglese. L’influenza greco-latina, tuttavia, andò oltre: Besetzung (investimento-occupazione) divenne nella traduzione athexisFehlleistung (atto mancato) fu reso con parapraxisdie Seele (anima) e l’aggettivo corrispondente seelisch con «mente» e «mentale», e si potrebbero elencare molti altri esempi.
Nel compiere le proprie scelte, i traduttori ufficiali di Freud erano mossi da una forte motivazione. In linea con la miglior prassi dei traduttori attenti al contesto, essi tenevano costantemente presenti i propri lettori (il Tenore nella terminologia hallidayana) e avevano un’idea molto chiara del linguaggio più adatto a un determinato settore di attività sociale (il Campo). Il loro scopo era rendere il testo di arrivo più astratto, ricercato e scientifico, in modo da conquistare l’attenzione della comunità medico-scientifica anglo-americana e trasmettere una serie di concetti che, nell’originale, derivavano da una tradizione umanistica europea alquanto differente da quella anglo-americana.

Ian Mason, “Discourse, ideology and translation”, in Language, Discourse, and Translation in the West and Middle East, a cura di R. de Beaugrande, A. Shunnaq & M. H. Heliel (1994), traduzione di Cecilia Pozzi in La Traduzione, Teorie e metodi a confronto, a cura di Mirella Agorni, LED (2005)

Approfondimenti

Peter Fawcett, “Translation and Power Play”, The Translator 1, 177-192 (1995)

Juliane House, “Translation Quality Assessment: Linguistic Description versus Social Evaluation”, Meta: Translators’ Journal XLVI, 2 (2001)

Ian Mason, “Discourse, ideology and translation”, in Language, Discourse, and Translation in the West and Middle East, a cura di R. de Beaugrande, A. Shunnaq & M. H. Heliel, John Benjamins (1994)

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